Il suono nelle pratiche artistiche del contemporaneo
Monacchi e la Sonosfera
L ‘estinzione è comunemente considerata un pericolo che corrono solo le specie viventi nella loro lotta per la sopravvivenza. Ma non è così e lo sa bene il compositore David Monacchi che ha dedicato la sua opera di successo “Fragments of extinction” a una ricognizione sonora del mondo naturale in via di estinzione.
Il progetto prende vita nel 1998 e consiste nella registrazione di interi cicli circadiani nelle foreste primarie attorno all’equatore, dove “è possibile registrare l’impronta acustica di polifonie primordiali e, dunque, la firma acustica dell’evoluzione”.
Il lavoro si svolge su tre ambiti: uno tecnologico, che studia e sperimenta la registrazione 3D sul campo, uno scientifico, che include l’analisi ecologica ed eco-acustica dei dati acquisiti e un altro artistico, riguardante la creazione di luoghi ottimali per l’ascolto immersivo nei musei. Da questo aspetto architettonico è nata la Sonosfera, un teatro eco-acustico per l’ascolto tridimensionale di ecosistemi, prima struttura del genere in Italia, inaugurata a Pesaro lo scorso 6 gennaio. Si tratta di uno spazio sferico, formato da due semi-cavee in cui è possibile dar luogo a esperienze collettive del suono tridimensionale. Nella sonosfera il suono è acusticamente perfetto ed è diffuso da 45 altoparlanti posizionati nella superficie semisferica per creare una sorta di campo sonoro. Grazie, inoltre, agli spettrogrammi del suono e ai contenuti audiovisivi proiettati su uno schermo a 360° gli spettatori hanno la possibilità di pensare percettivamente e in maniera multisensoriale.
E’ possibile non udire?
Si molto spesso discusso su come l’udito, tra tutti i sensi, sia l’unico che non possa essere disattivato se non artificialmente. Possiamo non vedere, non toccare, non annusare, non assaggiare ma non siamo attrezzati di un meccanismo corporeo che ci chiuda le orecchie. Tutto l’udibile dall’uomo (intervallo dai 20 Hz ai 20 kHz) è udito dall’apparato fonico. Ma è veramente così?
L’artista polacco Krzysztof Wodiczko realizzò la sua prima installazione performativa partendo proprio da questa riflessione: è possibile non udire?
Nel 1969, creò una cuffia e dei sensori manuali che filtravano selettivamente i rumori per strada e camminò per Varsavia indossando la sua attrezzatura. Strumento personale, questo il nome che scelse, mostrava Wodiczko nelle vesti di un direttore d’orchestra azzittendo “i megafoni che dettavano come dovessimo vivere” sotto il regime autoritario. È chiaro come il primo obiettivo dell’artista fosse un atto di accusa contro la bio-politica repressiva esercitata dal regime del partito comunista ma, a un livello ermeneutico, ci troviamo di fronte a un’analisi semiologica del sistema uditivo.
Wodiczko, attraverso la sua azione, rese trasparente i meccanismi “politici” del sentire. Non esiste un udito scevro dall’artificialità, un udito ontologicamente naturale, ma tutto il suono è bypassato attraverso i processi di antropomorfizzazione tecnomediati. Non è d’altronde una novità affermare che la sapenzialità dell’Homo Sapiens gli derivi proprio dall’interfacciarsi col mondo esterno attraverso attrezzature sia attuative (meccanismi, attrezzi, macchine) che virtuali (capacità selettive e interpretative). L’Uomo è, quindi, Sapiens e Faber nello stesso momento esattamente come un quanto, quantità elementare della materia, può essere sia particella che onda.
Il suono per noi umani, sembra suggerirci l’artista, non può essere individuato nella sua pura esistenza fisica ma catturato solo attraverso un medium che lo rende elemento di trasmissione di informazioni e di selezione. Possiamo quindi disattivare l’udito? Biologicamente no. Possiamo non ascoltare? È decisamente nel campo del possibile e, quindi, nel campo della manipolazione artistica.
Come afferma l’etnomusicologo Leandro Pisano: “all’interno dei molti contesti dell’arte contemporanea, l’arte del suono si configura come metodo privilegiato di analisi intorno alla nostra relazione con i paesaggi fisici e umani che stiamo attraversando, vivendo, immaginando. In questo senso il suono ci permette di “sentire” e catturare i lati nascosti di un territorio”. Il suono diventa oggetto di discussione estetica, sforando il campo della musicologia, quando viene superata la visione di Eggebrecht secondo la quale la prassi musicale discende dal principio pitagorico, con l’esclusione dei suoni della natura che vengono dunque considerati alla stregua di materiale esteticamente irrilevante.
Sarà il compositore d’avanguardia John Cage a far cadere la distinzione tra rumore e musica. Per Cage la musica rientra nel territorio più vasto del suono, non è altro che una parte, organizzata, di suono. Raymond Murray Schafer, col suo The Soundscape, traghetterà, poi, l’ascolto estetico verso il “paesaggio sonoro” ambientale. La manipolazione del suono spalancherà la porta al suo uso come scultura. In The Queen of the South di Alvin Lucier, strumenti acustici ed elettronici attivano ogni sorta di materiale granulare cosparso lungo una superficie sensibile, generando movimenti coreografici della materia. Lucier mira ad esplorare la potente materialità della vibrazione sonica, la capacità del suono di muovere corpi fisici. Una capacità che oltrepassa la nostra possibilità di ascolto. Suoni molto bassi, fuori dalla nostra portata uditiva, riescono, infatti, a far vibrare corpi che è possibile guardare ma non ascoltare.
Tornando alla domanda iniziale: il suono può essere non ascoltato? È possibile, dunque, rispondere si, può essere non ascoltato. Le esperienze artistiche qui riportate, esattamente come nella tridimensionalità optica della Sonosfera di Manocchi, rendono possibile l’esplorazione di spazi e luoghi interstiziali attraverso il suono, modificando le nostre pratiche e gerarchie estetiche dell’ascolto. Insomma, una nuova figurazione del suono, una deep listening practive.