Il coronavirus e lo scenario peggiore
Il coronavirus è arrivato tra noi come il ladro di notte del Vangelo o l’ospite inquietante di Nietzsche. Ci siamo fatti trovare impreparati, abituati come siamo a credere che il ladro, che poi è il Signore, non entri in casa nostra e che il niente sia proprio poco più di nulla. In fondo, quasi non è colpa nostra perché è la cultura di massa nella quale siamo immersi che ci induce ad abbracciare una serie di miti e il più confortevole di tutti è che si viva nel migliore dei mondi possibili e che, cambiamento climatico a parte, nulla di così decisivo ci potrà mai capitare da cambiare le nostre vite. E invece…
Il virus cinese, se è lecito chiamarlo così – come una volta si diceva la spagnola o il mal francese o l’asiatica – ha spazzato via una serie di miti del nostro tempo.
Il primo è proprio il mito della Cina che da paese del Dragone e della globalizzazione ci è apparso per quel che realmente è: un impenetrabile immenso Stato totalitario dal quale ci vengono molte bugie e poche calcolate verità.
Il secondo mito che sembra crollato è la globalizzazione: il mondo che vive in tempo reale ci dà il bene ma ci dà anche il male e aver creduto che il male fosse stato sconfitto perché il mondo era diventato relativamente più piccolo è stato un errore tra i più stupidi. Se avessimo considerato un po’ di più la tanto comune quanto inutile storia avremmo saputo che nel Trecento la peste fece più o meno lo stesso tragitto e il secolo XIV non era certo così globale come il XXI.
Il terzo mito che è svanito è il riscaldamento globale: prima era considerato un grave problema, quasi da fine del mondo, mentre ora il cambiamento climatico è invocato nella speranza che con l’arrivo della primavera e della bella giornata il caldo si porti via il morbo più o meno mortale. Intanto, il morbo si è portato via l’ammorbamento del movimento ecologista più vacuo che la storia e la cronaca ricordino.
C’è poi il governo. Vieni avanti cretino! Per carità, mi guardo bene in questi tempi di pestilenza dal criticare gratuitamente il governo che si è presentato al Paese come un governo necessario. Ma, al di là dei colori, dei partiti e degli uomini che non mi sembrano dei Churchill, sappiamo che ci siamo ritrovati ad avere il peggior governo nel peggior momento.
Fin dall’inizio di questa storia morbosa, proprio il governo Conte 2 ha oscillato tra la pochette e il golfino, tra l’allarme e la camomilla, dal tutti dentro al tutti fuori, dai porti aperti agli aeroporti socchiusi. Insomma, un gran pasticcio di cui tutti noi, che ci meritiamo il governo che abbiamo, ne paghiamo oggi le conseguenze con un inevitabile senso insieme di responsabilità e fatalismo.
Il coronavirus ha letteralmente spazzato via il mito dell’astrusa e irrazionale “autonomia differenziata” e di un sistema sanitario spezzettato in venti piccoli staterelli sanitari che alla prova dei fatti non ha potuto fare altro, tra prove eroiche di medici ed infermieri, che entrare in una situazione di collasso. Arrivano le emergenze e noi siamo sempre lì con i nostri eroi. Ci consoliamo dicendoci che il nostro sistema sanitario è una grande eccellenza ma sappiamo che ce la stiamo cantando e suonando da soli. Arriva l’epidemia, nientemeno che un’epidemia, e ci trova a discutere del “pubblico” e del “privato” e non ci rendiamo conto che, invece, non abbiamo proprio ciò che invochiamo ad ogni piè sospinto – lo Stato – e non ce l’abbiamo perché lo vogliamo sempre in cielo, in terra e in ogni luogo a risolvere quisquilie e impossibilità, mentre avremmo bisogno non del mistico “pubblico” ma di una più banale organizzazione statale capace di essere autorevole e collaborare con le attività varie e plurali della vita civile (non-statale).
Quale sarà il prezzo del coronavirus? Chissà perché non viene mai considerato il peggiore scenario possibile. Forse, perché, come detto, crediamo da sempre di vivere nel mondo del dottor Pangloss. Eppure, in crisi epidemiche è la prima cosa che si fa: si illustra la situazione-limite. Il peggio del peggio è che il contagio alla fine sarà tra il 30 o il 40 per cento della popolazione (fonte: il professor Vespignani di Boston). Purtroppo, l’Italia – il governo/Stato italiano – non sta lavorando a questo scenario che si può sensibilmente prevedere sondando dei campioni di popolazione regione per regione (il modello, per capirci, è quello dei sondaggi). Ciò che si sta facendo è il contrario: si improvvisa giorno per giorno. Così per chiudere gli occhi sullo scenario peggiore stiamo piano piano scivolando verso lo scenario peggiore ballando allegramente sul Titanic o, meglio, sulla Costa Concordia del nostro capitan Schettino.
Ah, il 30 per cento di 60 milioni di abitanti, ricordava Paolo Guzzanti, è una cosetta poco sotto i 20 milioni di infettati, con un tasso di mortalità di 34mila per milione. Milione più, milione meno.